“Sono Mario, ho 32 anni e sono uno psicotico in stato di compensazione
farmacologica. Sto cercando, con fatica, di rimettermi in gioco, dal punto di vista
sociale e professionale, ma il mio vero problema sono le relazioni.
L’insorgere della malattia mentale ha progressivamente allontanato da me gli altri
significativi: amici, conoscenti e parenti, gettandomi in un vortice di voci ed
isolamento. Una sorta di quarantena forzata dove mi trovavo a convivere con le mie
multiple personalità che, con veemenza e senza pietà, si trasformavano in
imputanti, testimoni e giudici della mia vita.
Non so più come ci si rapporta agli altri, non ho la forza nel condividere la mia
personalità e la mia identità, ridefinita dalla malattia.
Poi per caso ho scoperto l’esistenza della figura del Facilitatore Sociale della Salute
Mentale e, senza troppa convinzione e senza nessuna pretesa, ma con l’intento di
voler uscire da questo impasse fisiologico dettato dalla malattia, mi sono lanciato in
questa nuova avventura.
Pensavo che la malattia avesse in qualche modo compromesso del tutto il mio
“sentire” gli altri, considerando come risultato finale di questo processo di
conoscenza dell’altro, lo scarso nucleo di relazioni affettive presenti nella mia vita.
Il Facilitatore Sociale, con un esempio illuminante, mi ha posto le domande giuste
per una nuova consapevolezza di me e del mio essere, con e in relazione agli altri e ai
risultati che desideravo raggiungere.
Immaginiamo un albero, l’albero della vita, e che i nostri risultati siano i frutti di
questo albero florido e rigoglioso. Se non ci piacciono le dimensione dei frutti, il loro
sapore, la quantità di frutti prodotti cosa facciamo?
La maggior parte di noi si concentrerebbe ancor di più sui frutti, ovvero sui nostri
risultati, senza porsi le domande giuste: che cosa in realtà genera questo tipo d
frutto? La risposta è sempre i semi e le radici.
È quello che si trova sotto terra, che genera quello che si trova sopra. È quello che è
invisibile, che genera quello che è visibile. Ciò significa che sono da cambiare le
radici, se vogliamo una fioritura migliore e una produzione di frutti migliori.
Ma quali sono le nostre radici?
I nostri pensieri.
Proprio riprogrammando i nostri pensieri e abitudini mentali possiamo vivere nuove
sensazioni e sentimenti, che ci possono portare a nuove decisioni e azioni, che si
traducono in frutti, risultati, nuovi e rigenerati.
Programmazione Pensiero Sentimento Azione = Risultato
Ed è da questo incontro fruttuoso che è partita la ridefinizione di una nuova mia
identità relazionale, partendo da nuovi approcci mentali e nuove definizioni di
socialità, dove il contributo degli altri genera valore e ricchezza per se stessi e per gli
altri.